I luoghi più assolati sono spesso anche i più polverosi. Basta pensare ad alcune zone dell’India, al Medioriente, all’entroterra australiano o, senza uscire dal nostro Paese, a Regioni come la Sicilia, la Puglia e la Sardegna.
D’altra parte, è proprio in queste zone che i pannelli offrono le migliori rese, sia per quantità che per l’intensità dell’’irraggiamento. “L’inconveniente” della polvere abbassa generalmente le prestazioni di un impianto fotovoltaico anche del 40%.
Dello sviluppo di questo argomento si stanno occupando sia i ricercatori dell’Università di Boston, supportati dalle ricerche della Nasa, sia quelli dell’Università di Cardiff.
Il progetto dell’Università di Boston sfrutta le ricerche effettuate dalla Nasa durante le missioni dei Rover su Marte, applicandole ai pannelli solari. Il modulo in questione è assemblato insieme ad un rivestimento molto particolare che riesce a capire quando si accumula della polvere sulla superficie dell’impianto. A quel punto, attraverso una vera e propria carica elettrica a bassa intensità della durata di circa 2 minuti, il pannello viene “scrollato” da circa il 90% della polvere.
I pannelli solari in questo modo non accumulano polvere e si puliscono in modo autonomo, senza l’intervento da parte dell’uomo. Tutto questo permetterebbe di installare impianti fotovoltaici anche in zone molto polverose, spesso anche povere di acqua per un’eventuale pulizia, aumentando la resa della produzione e riducendo notevolmente i costi legati alla pulizia e alla manutenzione degli stessi.
L’Università di Cardiff, in collaborazione con un’equipe di studiosi cinesi, ha scoperto il sistema per limitare i problemi di produzione di energia derivati dall’accumulo di polvere, detriti e altre particelle trasportate dal vento o dagli uccelli. Grazie ad un motivo in rilievo ottenuto con delle speciali nanoparticelle la superficie dei pannelli diventa antiaderente, limitando così l’accumulo di impurità.
Questo trattamento rende il pannello idrorepellente, caratteristica che permette di far scivolare via gli eventuali liquidi che vengono a contatto con la superficie. I ricercatori hanno paragonato il loro prototipo di modulo fotovoltaico a una foglia di loto, che appunto è naturalmente idrofoba e antiaderente.
Al di là degli aspetti legati alla pulizia, infine, la presenza di queste microscopiche “rugosità” rende la superficie del pannello meno riflettente, aumentando la quantità di luce solare che viene assorbita e, di conseguenza, l’efficienza del pannello stesso.
Ancora una volta si tratta di una tecnologia in grado di migliorare le prestazioni e l’efficienza dei pannelli e, allo stesso tempo, di ridurre i costi legati alla manutenzione e alla pulizia dei moduli fotovoltaici.